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La morte e la vita, la confusione dei rapporti patrimoniali familiari

30 aprile 2018

 

Notaio noi vogliamo  le cose giuste e Lei che rappresenta la legge ci deve consigliare.

Questo é quello che frequentemente una coppia di coniugi anziani ci chiede nei nostri studi.

"Pirchì semu da’ morti e da’ vita" (siamo della morte e della vita).

E quale sarebbero le cose “giuste”  che dovremmo consigliare?

Ci sono situazioni lineari, in cui i genitori non si sono mai sbilanciati nel promettere nulla, non hanno mai beneficiato nessun figlio, e vogliono programmare la destinazione del patrimonio familiare per quando non ci saranno più.

In questo caso le “cose giuste”, intendendosi non fare differenze per nessuno, sarebbero non fare assolutamente nulla, aspettando che tutto cada in successione in parti assolutamente uguali. Ma, c’é un ma, indivise.

E questo é il punto.

 Perché  le cose sarebbero fatte “giuste”, ma poiché già i figli, o taluno di loro, ha pretese su qualcosa, dopo che si genera una comproprietà ereditaria, in sede di accordo per dividerla nascerebbero problemi, per pretese avanzate, per discordanza nei valori da assegnare, per conguagli da corrispondere.

E le cose, che in partenza erano “giuste”, si complicano terribilmente finendo con ogni probabilità in giudizio.

Ma essi, i genitori, non hanno certamente questa come intenzione.

Essi vogliono vedere i figli in pace, felici e contenti, e per questo vogliono da subito beneficiarli, ma con l’accordo di essi stessi, perché non vogliono lasciare malumori, strascichi e cattivi pensieri dei figli.

Poi ci sono, e sono la maggior parte, le situazioni che partono già complicate.

Figli che hanno ricevuto in vita erogazioni in denaro, figli a cui sono stati pagati debiti in situazioni di difficoltà, figli a cui é stato intestato un immobile, magari in un miope obbiettivo immediato di risparmio di imposta come 1 casa che l’intestazione ai genitori non consentirebbe, figurando come se lo avessero acquistato i figli stessi, figli a cui é stata concessa da anni, spesso da decenni, la detenzione di un immobile con l’assicurazione che sarebbe divenuto un giorno di loro proprietà, figli che hanno collaborato all’azienda quasi gratis.

Il tutto rigorosamente senza nessuna pattuizione scritta, perché tanto, fra di noi, in famiglia non ci sono problemi, ma figuriamoci.

Non ci sono problemi per un mese, per qualche anno, per decenni fino a quando l’ipocrisia di negare i conflitti e i contrasti che possono essere generati da rapporti non chiariti e lasciati nell’ambiguità, l’intromissione di soggetti estranei alla “famigghia” (generi, nuore, conviventi), determina una vera e propria esplosione di tutti gli equilibri, resi fragili e precari dalla mancata determinazione delle posizioni al momento in cui gli accordi sono stati raggiunti.

E noi, che siamo stati istruiti a fare contratti, ecco che ci troviamo a dover fare tutt’altro: assistere a tutto quello che viene fuori dietro il conflitto apparentemente solo economico, assistere a recriminazioni, gelosie familiari, sofferenze covate per anni e mai dette, tutta una serie di cose per le quali certamente non siamo attrezzati ad intervenire, ma che con gli anni e l’esperienza abbiamo imparato a gestire per il minimo indispensabile necessario a definire l’incarico professionale di nostra competenza.

Ma non sempre é possibile venirne a capo: come in tutte le cose, più si trascinano a lungo problemi non risolti, più il groviglio di problematiche si rende denso.

Per questo una corretta educazione familiare dovrebbe avere ad oggetto anche la gestione delle risorse messe a disposizione dei componenti la famiglia, chiarendo sin dall’origine il perché e la causa di determinate erogazioni o attribuzioni, con accordi per iscritto idonei ad evitare squilibri, malintesi, attriti e, in ultima analisi, interminabili cause civili.

Proprio perché non si può mai sapere, e proprio perché “semu da’ morti e da’vita”.

 

 

 

 

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